Ieri su tutti i giornali campeggiava la notizia "E' morto Osamu Dezaki".
Scorrendo le homepage, di corsa, in ufficio, in un attimo di pausa, il pensiero collettivo della popolazione mondiale normo-nerd è stato "Chiiii?". Ma, per una volta, i giornalisti italiani hanno saputo scegliere un titolo (quasi) esatto, riassuntivo ed esauriente, in grado di paralizzare l'intera generazione di attuali trentenni e far loro comparire uno strano sguardo negli occhi.
Osamu Dezaki è stato infatti regista di un numero strabiliante di quei cartoni animati che, negli anni '80, alle 4 di pomeriggio, richiamavano davanti alla tv un intero esercito di mini-spettatori armati di latte e tegolini, gli stessi che oggi si sono trasformati in serial-addicted praticanti, e si assiepano davanti alle televisioni alle nove di sera, armati di bibite dietetiche e ansiolitici.
Fra le sue opere si annoverano Rocky Joe, Lupin III, Remi... e Lady Oscar.
L'Eva che scrive oggi è stata parte integrante dell'esercito pomeridiano di allora e si fregia del grado di feldmaresciallo in quello serale di oggi, per cui sa perfettamente che cosa abbia significato Lady Oscar per la sua generazione.
Vedete, se non fosse caduto di recente il centocinquantesimo anniversario, molte di noi, forse, a bruciapelo, non avrebbero saputo dire l'anno dell'unità di Italia, e sicuramente senza Colin Firth si sarebbero domandate se c'era la monarchia in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale.
Ma se provate a chiederci un qualsiasi dettaglio, anche infinitesimale, sulla Rivoluzione Francese o sull'albero genealogico di Maria Antonietta l'Autrichenne, possiamo snocciolarvi una quantità di informazioni da fare invidia a Lucio Villari.
Perché per noi Lady Oscar è stato un mondo intero, un'esperienza folgorante e irripetibile. Per la prima volta assistevamo alla Grande Storia che si faceva sfondo per le piccole storie di persone straordinarie eppure fragili e umane, donne dagli occhi multi-pupillari e di una bellezza incandescente, amori disperati la cui intensità avremmo ritrovato solo da adulte in Casablanca.
E poi c'era lei. Madamigella Oscar. Meravigliosa, con quelle gambe lunghissime, i capelli intrisi di vento, per tutta la vita inconsapevolmente accanto ad André, incapace di trovare pace con se stessa e con l'identità cui è costretta, ma allo stesso tempo determinata, inviolabile, decisa e inamovibile. Un destino che sembra irreversibilmente scritto, lei lo afferra in pugno e lo rende straordinario, arrivando a comandare uno squadrone di uomini il cui rispetto conquista sul campo e giungendo poi, quando ormai Parigi è in fiamme, all'unica scelta possibile per noi che ne avevamo fatta la nostra eroina. La nobile erede dei Jarajyes, Oscar François, passa dalla parte del popolo in rivolta e se ne fa condottiera fino alla Bastiglia, dove muore durante la battaglia.
Potremmo ripetere a occhi chiusi quella scena, o quella di Maria Antonietta che chiede a Rosalie di portare una rosa bianca sulla tomba di Oscar, pur non avendole più viste da anni.
Oscar è stato il nostro primo incontro con le donne che saremmo diventate, tutte, indistintamente, in preda a vite, destini, corpi, semplicemente capelli o amori, che non sapevamo o riuscivamo a scegliere. Con gli anni, di modelli, eroine, figure di riferimento, ne abbiamo incontrate a dozzinaia, alcune molto più simili a noi di quanto potesse essere un alto militare della reggia di Francia. Ma molte, moltissime di noi, alla fine sono tornate a quel primo esempio di donna che decide, si libera, rischiando e puntando tutta la posta possibile. Molti anni dopo, all'Eva che scrive fu Spoon River a far tornare in mente Oscar, con l'epitaffio di Mrs. Reece, quello che si conclude con la citazione di Pope: "Recita bene la tua parte, in questo consiste l'onore".
Ecco, oggi Eva vuole portare quella rosa bianca sulla tomba di Osamu Dezaki.
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