Quando avevo sedici anni amavo follemente Jim Morrison. Amavo tutti coloro che avevano - a quei tempi mi sembrava così - immolato la propria vita in nome dell'arte.
Poi arrivarono i Nirvana nella mia città, e qualcuno si offrì di accompagnarmi al concerto: io ero triste per una delusione amorosa, e risposi che non avevo voglia, aggiungendo "Tanto i Nirvana sono appena esplosi, ci sarà tempo per vedere un loro concerto".
Quella stessa notte Kurt Cobain tentò il suicidio con un cocktail di farmaci sciolto nello champagne. E qualche mese dopo si sparò in bocca. Me lo disse mia madre, mentre io stavo "decorando" il diario di scuola, e rimasi a lungo impietrita. Ma ancora mi sembrava qualcosa di ovvio, di naturale, di prevedibile da parte di chi non trovava in questo mondo lo spazio sufficiente per dare sfogo a tutto se stesso.
Anni dopo, stavo truccandomi per andare al lavoro quando il mio compagno bussò alla porta del bagno e mi disse che era morto Heath Ledger. Non era uno dei miei attori, avevo sempre preferito Jake Gyllenhaal, ma mi sentii come se avessi preso un pugno in piena faccia. Era bellissimo, era bravissimo, era artisticamente coraggioso, perché aveva sprecato tante possibilità, perché ci aveva privati di future emozioni?
Poi sabato leggevo dell'attentato a Oslo, dell'orrore vissuto da quei ragazzini inseguiti, colpiti, uccisi da uno psicopatico cui ogni etichetta rischierebbe quasi di dare una motivazione giustificativa, e fra le ultim'ora è comparso lo strillo "Amy Winehouse è morta nella sua casa di Londra".
La conoscevo pochissimo, quasi per niente, ma ancora non riesco a smettere di pensarci.
A 34 anni improvvisamente le morti rock non hanno più fascino, non sono più future leggende cui pensare mentre si ascoltano quelle note perfette; no, a 34 anni le morti rock sono semplicemente stupide, e ti viene voglia di ragionare in maniera ingiusta, facendo paragoni fra le morti, lei se l'è andata a cercare, i ragazzi dell'isola di Utoya no. Ed è vero. In qualche modo forse è vero.
Ma io provo dolore per tutte queste morti, in modo diverso ma pur sempre dolore.
Penso a lei, penso a cosa avrà mai pensato quando non riusciva nemmeno più a cantare su un palco, mi chiedo se si sia resa conto di quello che stava facendo; e allo stesso tempo penso a quei ragazzi norvegesi, nascosti ovunque come fecero i loro coetanei di Columbine, penso al terrore che deve averli invasi, loro che erano pieni di progetti e speranze, politicamente impegnati, assolutamente innocenti.
E penso che morire giovani dovrebbe essere proibito.