Proprio 41 anni fa, il 20 maggio del 1970, fu introdotto lo Statuto dei Lavoratori. Un arco temporale lungo durante il quale, nonostante i profondi cambiamenti nella contrattazione nazionale, il lavoro è rimasto un elemento determinante per l’identità e la crescita delle persone e per il progresso della società. Un’occasione per rimettere al centro del dibattito le politiche del lavoro, perché combattere disoccupazione e precarietà significa porre le basi di uno sviluppo più umano, più giusto e solidale.
Lo Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 1970, intitolata ‘Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento‘. Obiettivo dello Statuto,era quello di tutelare la libertà e la dignità del lavoratore e sostenere la presenza dei sindacati sui luoghi di lavoro.
E’ di Giuseppe Di Vittorio, nel 1952, la prima proposta di uno Statuto dei lavoratori che sarà poi realizzato da Giacomo Brodolini, che con lui era stato al vertice della Cgil nel 1955 come vicesegretario. Nominato ministro del Lavoro socialista nel secondo governo Rumor e fautore della riforma della previdenza sociale del 1969, dell’abolizione delle gabbie salariali e della modifica del collocamento contro il caporalato, Brodolini istituì una commissione nazionale per redigere una bozza di Statuto, alla cui presidenza nominò Gino Giugni.
Brodolini morì pochi giorni dopo aver presentato, nel giugno 1969, il disegno di legge elaborato dalla commissione. La legge n. 300 fu approvata a maggio del 1970, con l’astensione del Partito Comunista che, pur apprezzando la garanzia dei diritti costituzionali prevista per i lavoratori sul luogo di lavoro, lamentava l’esclusione delle tutele per i lavoratori delle aziende più piccole.
Lo statuto ha 41 anni e proprio come avviene per molti lavoratori “over 40” sembra essere “precario”; c’è chi vorrebbe mantenerlo così com’è poiché ritiene che sia ancora attuale e che grazie all’esperienza maturata potrebbe, mantenendolo nella sostanza, subire solo alcune operazioni di “lifting” per adeguarlo alle nuove esigenze di mercato, come ad esempio nuove regole per i precari per i quali non e’ prevista alcuna tutela, chi invece lo ritiene del tutto superato, perché da allora il mercato del lavoro e’ cambiato e anche lo statuto dovrebbe esserlo di conseguenza, poiché nella sua versione attuale rischia di essere oltre che un “onere “per le aziende anche dannoso per i lavoratori stessi, in quanto manca di quella flessibilità (considerata invece da altri precarietà) che il mercato del lavoro esige.
Uno strumento, lo Statuto dei lavoratori, da alcuni odiato da altri amato al quale però non si può disconoscere l’importanza dei suoi contenuti e l’innovazione ed il cambiamento che ha apportato dalla sua costituzione ad oggi nel nostro Paese non solo per il mondo del lavoro ma per tutta la società.
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