In una testa giornalistica, una delle tante presenti in Italia, mi sono imbattuta in questo articolo e la mente mi ha riportato in un paese oltreoceano, dove di donne col burka camminano per strada e addirittura vanno ad un parco giochi.
Prendiamo uno stato, Singapore, aggiungiamo una sorella, la propria che vive lì da gennaio, e concludiamo con un viaggio per andare a trovarla. Gli occhi dell'eva che scrive si sono colmati di visioni femminili. Tante Eve esotiche che riempivano le strade di questa città stato. Varie etnie, differenti modi di vivere. Cosa mi ha colpito di questo mondo femminile oltreoceano? La nobiltà delle donne indiane, che a ragione definiscono le piu belle al mondo. Non quelle giovani, ma le anziane, con poche rughe in volto a dimostrare una saggezza del vivere, con le lunghe trecce, i sari colorati e l'eleganza nei modi. Lo sguardo fiero di chi ha il peso di una tribù familiare addosso e riconosce nella compostezza dei modi il segreto di una lunga vita. Poi le gambe lunghe e la scioltezza nel vivere delle adolescenti asiatiche. Ricercate per un mistero sessuale che le circonda. Le ragazze arabe. Quelle col burka. Si ne ho viste e molte. Ma due di queste mi sono rimaste negli occhi.
Sentosa, una sorta di isola- Parco dei divertimenti. Ero li davanti una fontana a farmi immortalare in una foto ricordo, e invece ho bloccato io in una immagine una ragazza col burka che sorridendo si faceva fotografare dal marito. Mano nella mano hanno proseguito il loro giro. Lui alle spalle aveva uno zaino. Ho pensato: per sapere della loro condizione di vita bisognerebbe parlare con loro, una per una, per renderci conto di cosa sia davvero la loro vita. E neanche in tal caso si riuscirebbe ad afferrare la sfumatura del loro vivere coperte da un velo. Ma l'altra donna in burka è quella che con la sua energia e regalità mi ha impedito di fotografarla, bloccata dal suo avanzare. Coperta capo a piedi dal burca, tacchi alti ai piedi, e mani coperte dai guanti. Onde evitare che un lembo di pelle potesse essere esposto allo sguardo altrui. Avanzava solenne accompagnata dal padre o dal marito per le stradine del quartiere arabo. In mano l'Iphone. E io da donna occidentale in un paese, Singapore con cittadini occidentali, in pantaloncini corti e top mi sono sentita a disagio. Fuori posto. E da qui ho capito che per quante opinioni possiamo avere in merito scaturite da conoscenza e informazioni a riguardo, solo il nascere in determinati contesti può dare la giusta misura di una condizione del genere. E che la violenza che a volte caratterizza queste culture è la stessa che ricopre la quotidianità nei paesi occidentali. E in tal caso, a mio avviso, l'ignoranza del vivere prescinde religione, nazione o stato sociale. Ecco cosa ho pensato guardandola.
Ricca di questo nuovo pensiero, ho fatto tesoro dell'esperienza avuta. E umilmente ho diretto la mia macchina fotografica verso il cielo azzurro di Singapore.
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