In redazione abbiamo valutato attentamente l'opportunità di recensire o meno questo film: l'unico personaggio femminile presente è poco più che una comparsa (nonostante non fosse assolutamente necessario che quello principale fosse maschile), e ci chiedevamo se non avremmo rischiato di tradire la rubrica.
Ma un simile gioiello a inizio stagione non è cosa da tutti gli anni, abbiamo la sensazione che se ne parlerà, anche durante la notte degli Oscar, e soprattutto ci è piaciuto troppo, per cui il film di questa settimana sarà L'Alba del pianeta delle scimmie. Così è stabilito, la recensione inizi.
Trattasi del prequel alla saga che tanto emozionò i fantasciencinefili degli anni '60, interpretato dal sempre interessante James Franco, con John Lithgow, Tom Felton (il Draco Malfoy di Harry Potter) e Brian Cox, la regia è di Rupert Wyatt, fino ad ora piuttosto sconosciuto.
Niente a che vedere con la dolorosa delusione del remake di Burton: ne L'Alba si racconta cosa è successo alla Terra dove gli astronauti dei film originali si sono poi trovati in uno dei finali più belli della storia del cinema, e naturalmente il ruolo dell'homo sapiens sapiens nella catastrofe è assolutamente primario.
Ma, per una volta, Hollywood ci ha risparmiato qualunque pistolotto moralista, e ha trattato gli spettatori da quegli esseri senzienti e intelligenti quali sono, in grado di comprendere tutto il discorso sotteso allo guardo di James Franco quando capisce la propria responsabilità e le conseguenze dei suoi gesti (molto bello quel mezzo sorriso del finale), capaci persino di unire i puntini e ricostruire la storia futura dagli indizi disseminati con una maestria tale da farci venir voglia di applaudire a scena aperta.
Il meccanismo narrativo è perfettamente a orologeria, e risponde a qualsiasi perplessità, dubbio, curiosità anche del peggiore cinerd un istante dopo che la domanda è stata formulata ("Ma nell'originale come succedeva questo?", Stacco-prima pagina del giornale buttata lì a caso; "Ma lui sa che...?", Stacco-"Credo di aver capito", etc.), e soprattutto è asciutto, privo di sbavature ed eccessi di intellettualismi inutili.
Poi, ovviamente, ci sono le scimmie.
Allora, ve lo dice Eva vostra, così non siete costretti a compulsare freneticamente internet dal cellulare durante la proiezione come ha dovuto fare lei perché non si può seguire il film senza saperlo.
Le scimmie sono digitalizzate. Con la stessa tecnica con cui sono stati realizzati i Na'vi di Avatar, il King Kong di Peter Jackson e Gollum.
A interpretare la scimmia principale, Caesar, è di nuovo Andy Serkins, che a questo punto ci chiediamo che accidenti d'altro debba fare per vincere un Oscar (e ringraziamo tutti i tecnici che lo omaggiano mettendo sempre un qualcosa del suo sguardo negli esseri che gli costruiscono intorno).
Con loro in scena, alcune sequenze sono potentissime, di quelle che ti vien voglia di piangere per quanto sei contento di essere incappato in quel certo film tanti anni fa e non aver mai più lasciato il mondo del cinema; altre sono da unghie affondate nella poltrona per la tensione solo suggerita eppure terrificante (genere Zodiac sull'autostrada e in cantina, per capirci).
Come detto, non ci sono discussioni sulla hubrys umana, sull'antropocentrismo della nostra visione della realtà, sulla nostra crudeltà ingiustificata, sulla nostra mancata realizzazione, niente dottor Frankenstein e simili.
Eppure, a fine visione, rimane addosso un lieve disagio, torna prepotente il ricordo di essere frutto solo di un caso dell'evoluzione, e quasi il dubbio che forse, poi, tanto evoluta non sia stata.
E proprio l'evoluzione ha fornito lo spunto per uno dei migliori strilli degli ultimi anni.
Voto finale: appena esce in dvd, mi inchiodo sul divano e faccio anche la maratona degli extra.
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