Non ci sono donne, nel nuovo film di Sorrentino.
O meglio, qualcuna ce n'è, ma sono figurine blande, al servizio di altri, poco interessanti e anche lievemente mal recitate.
Che poi in realtà nemmeno è vero. Più che altro sono la perfetta sintesi di This must be the place.
Come troppo spesso capita con Sorrentino, tenuto in piedi solo dall'attore protagonista.
Con uno Sean Penn che solo per un soffio evita l'eccesso recitativo.
Con una macchina da presa invasiva e invadente, che non accompagna la storia, ma sottolinea la presenza del regista, hai visto mai dovessimo dimenticarcene che è uno dei pochi registi italiani che quantomeno ci prova e però non è che ce lo devi ricordare ogni venti secondi.
Con una storia piuttosto prevedibile (minuto 12 e già sai come va a finire), e nemmeno troppo originale.
Che sfiora un tema "sacro", di quelli che certo che se ne può parlare, ma con un po' di umiltà e attenzione, aspettando magari pure di essere maturi abbastanza per farlo.
Con una sceneggiatura che, a mettercisi d'impegno, i buchi li trovi in cinque minuti.
Che però è piaciuto a quasi tutta la sala, tanto che si è creato un attimo di silenzio quando tu hai espresso la tua opinione parlando con gli altri mentre uscivate.
E però per tutto il tempo tu pensavi a Clint Eastwood e a Stanley Kubrick, che chiaro che non si possono fare paragoni del genere, non sono leali né corretti, però quell'insistenza, quella ridondanza, non possono non richiamarti alla memoria l'asciuttezza, l'onestà di ben altre riprese. Guarda, al limite sarebbe andato bene anche un Michael Mann. O un Tim Robbins in forma (non sempre e post-divorzio la vedo dura).
Nel frattempo scopri che gli spettatori si sono già divisi in due categorie: chi ha odiato e chi ha amato la sequenza nella neve. Tu appartieni alla prima.
Voto finale: peccato tanta presunzione.
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