A un certo punto della sua vita, Steven Spielberg ha smesso di essere semplicemente Steven Spielberg e si è trasformato in una muta-forma che ogni volta non sai cosa tirerà fuori. Un filmaccio conservatore, latentemente razzista e pure un po' imbarazzante tipo la Guerra dei mondi o Munich, oppure una roba straziante come A.I. o magari un gioiellino perfettamente riuscito come The Terminal?
L'unica certezza è che un film ogni tot parlerà di guerra: anni fa Spielberg ha scoperto il tema e ha deciso che gli piaceva. Dopo aver approfonditamente proposto in diverse narrazioni la Seconda guerra Mondiale, il vecchio Steven si è accorto che c'era pure la Grande Guerra, e ha deciso di concorrere all'Oscar (lui è come Eastwood, capita proprio di rado che non ottenga candidature) con la storia dell'amicizia fra un uomo e un cavallo, War Horse, tratta dall'omonimo racconto per bambini di Michael Morpurgo.
Ok, raccontata così, la trama lascia quantomeno perplessi. E in effetti è un po' limitativa. L'amicizia fra il cavallo Joey e il suo padrone Albert è in realtà il pretesto per attraversare la Prima Guerra, i diversi schieramenti, le tante facce e le tante piccole storie che si nascondono sempre dietro i grandi, immotivati massacri armati.
Trattandosi poi di un regista quale Spielberg a volte si ricorda ancora di essere, il crescendo è affidato all'intensificarsi della drammaticità dei singoli quadri narrativi. Dal duello pulito ed educato all'inglese al fango che cancella persino i tratti distintivi di Joey, la guerra è sempre più familiare e nota, sporca e terribile come ce la siamo sempre immaginata.
Ognuno potrà scegliere i propri personaggi preferiti: personalmente ho amato la prima carica, così tragica nella realtà che irrompe nell'ideale, e la sequenza nella zona franca, quella che probabilmente passerà alla storia della cinematografia.
Attori tutti piuttosto in parte, è debole solo il presunto protagonista principale, che comunque alla fine si rivela essere meno invadente e onnipresente di quanto ci si sarebbe aspettati.
Delude leggermente il finale, che eccede in zucchero e luci, tanto quanto la parte centrale è invece libera dai manierismi del primo tempo.
Ovviamente, la storia è prevedibile e non particolarmente nuova, l'idea di raccontarla dal punto di vista del cavallo può essere solo parzialmente mantenuta; per cui, alla fine della proiezione, sappiamo già che dimenticheremo il film nel volgere di poche ore.
Quindi non un nuovo Incontri Ravvicinati, no, ma nemmeno una delle poc'anzi citate porcate con cui ci ha saltuariamente delusi negli ultimi anni, Spielberg è in questa occasione grandissimo artigiano della macchina presa, sensibile narratore di storie dai buoni sentimenti, ma privo di quella personalità che negli anni '80 ha fatto sognare un'intera generazione.
Voto finale: non esageriamo, non sarà perfetto ma è un film di Spielberg, e come tale va visto. E poi è un gran bel film.
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