La sequenza è onirica, come l’inizio della canzone; si sovrappongono differenti tracce audio: elicotteri, musica, una voce.
Immagini. Soldato sul letto. Soldato che si ferisce una mano tirando un pugno contro una vetrata.
La musica. The end dei Doors.
Il film. Apocalypse Now. Il film de la cavalcata delle valchirie e de Mi piace l'odore del Napalm al mattino; il film del Cuore di tenebra e della scena del bue macellato; quello delle conigliette, dell’esaurimento nervoso di Martin Sheen, dei deliri di Marlon Brando, che è Kurtz perché solo lui stesso sapeva/voleva esserlo.
Quel film là, insomma; uno dei pochi di cui entrambe le versioni sono belle (anche la Redux che, per chi scrive, è anche più bella), e per il quale è stato fatto un documentario meraviglioso: Viaggio all’inferno, girato dalla moglie di Coppola, Eleanor (poi ancora vi chiedete perché la figlia di Coppola, Sofia, faccia la regista…).
Ma torniamo alla canzone.
The end è il brano che chi conosce i Doors ama incondizionatamente; perché è costruito come una progressione estatica, perché parla de la fine e tutti, prima o poi, pensiamo alla Fine.
Perché la storia della sua prima esecuzione è una bella storia.
Una delle poche cose fedeli del film sui Doors di Oliver Stone.
Il locale è il Whiskey a go-go, il tempo è la fine degli anni ’60, il luogo: Los Angeles.
I Doors sono sul palco, Paul A. Rothchild è tra il pubblico.
Inizia The end.
Nulla.
Normale routine. Ma l’esibizione si allunga. I musicisti (Manzarek, Krieger, Densmore; tastiere, chitarra e batteria) vanno avanti; a volte capita; se il front-man decide di allungare l’esibizione tu gli vai dietro. Se volevi tempi e misure giuste facevi il chimico, non il musicista e di certo non il musicista rock. Ma il front-man è Jim Morrison, Re Lucertola, già quasi pronto a finire sulle magliette e nei cimiteri francesi.
Ma su quel palco sproloquia… comincia a parlare di cavalieri… stanze… maschere… fino al punto in cui… fino al punto in cui…
Father/ Yes son? I want to kill you. Mother. I want to... fuck you…
Non ve lo traduco. Si capisce da solo.
Silenzio. Quel silenzio lì. Quello che precede i grandi disastri o le esplosioni epocali per esibizioni memorabili (il silenzio che raccontarono ci fu a Roma, alla fine del debutto di Rugantino, dopo la morte del protagonista e prima dell’applauso che fece venire giù il Sistina).
Ma Jim Morrison non ebbe l’applauso. Fu cacciato. E con lui tutti i Doors. Ma fuori del locale lo raggiunse Paul A. Rothchild (ricordate…) che, guarda caso, era produttore della Elektra, e che li portò a incidere il primo album, The Doors. Se non lo conoscete, ascoltatelo.
Inizio della loro carriera. Inizio della loro storia. Inizio del percorso che portò Jim Morrison a divenire Jim e a popolare le camere di adolescenti di ogni tempo, insieme ai “suoi” William Blake, Aldous Huxley e a Nessuno uscirà vivo di qui. L’inizio di quel poster (e, in certi casi, di quella collanina).
E la fine?
La ritroviamo nella sequenza finale, nel sabba che coincide con la morte di Kurtz e che sovrappone bombardamenti, macelli (letteralmente…) ed omicidi.
La fine. L’alba del Cuore di Tenebra.
Per la prossima volta… Lady Stones… Marianne Faithful.
Stay Tuned…
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