Walter Ulbricht il 15 giugno del '61, durante una conferenza stampa internazionale, smentisce seccamente le voci sul progetto della costruzione di un muro a Berlino per dividere le due Germanie: "Ho sentito anch'io questi pettegolezzi, sono falsi. Nessuno ha intenzione di farlo". La storia oggi ci dice che era una menzogna.
La mattina del 13 agosto 1961 i berlinesi scoprono infatti che nel cuore della loro città sta nascendo una divisione fatta di filo spinato, blocchi di cemento anti-carroarmati e barricate. I collegamenti fra la zona est e quella ovest sono bloccati e i cittadini della prima non possono più entrare nella seconda. Sono le "prime pietre" del famigerato Muro, che la propaganda chiama "il muro di protezione contro i fascisti". Gli Alleati reagiscono con moderazione, troppa moderazione, e la "protezione" cresce in fretta, raggiungendo i 166 chilometri di lunghezza e i 4 metri di altezza. Centosessantasei chilometri che tagliano 192 strade di Berlino, sancendo la definitiva separazione fra i due blocchi. Passare il Muro diventa impresa assai rischiosa, tanto che un centinaio di berlinesi dell'est moriranno nel tentativo di scavalcarlo, uccisi dai Vopos di guardia: l'ultima vittima è Chris Gueffroy, il 6 febbraio del 1989.
Chris Gueffroy non poteva saperlo: gli sarebbe bastato pazientare ancora pochi mesi e lui sarebbe ancora vivo. E libero. Il 9 novembre di quell'anno, Günther Schabowski, leader della Sed (il partito comunista) di Berlino est, annuncia infatti la resa: con parole ambigue dice che da quel momento il Muro viene aperto per permettere "viaggi personali all'estero". Sono le sette di sera, poco dopo scoppia una festa spontanea alla porta di Brandeburgo e nella Kurfürstendamm di Berlino ovest. Il Muro viene fatto a pezzi. E comincia un'altra storia, che porterà alla caduta dell'Urss e dei suoi regimi satellite nell'Europa orientale.
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