Oggi è il 38mo venerdì dell'anno, il 17mo dedicato alla nostra rubrichetta televisiva, il primo dell'autunno e soprattutto quello della settimana in cui sono ricominciate tutte le serie.
Facile presumere che i serial-addicted nostri lettori siano ancora preda dei postumi da celebrazioni, o semplicemente fusi col divano mentre si sparano endovena dosi massicce dei loro ansiolitici preferiti, ma per quelli che dovessero essere stati costretti a mettere ad uscire di casa questa settimana abbiamo deciso di parlare della meta-serie per antonomasia, la serie tv che parla di tv e si affaccia sul Rockfeller Center: 30 Rock.
Creata da Tina Fey, prima donna a vincere il premio Mark Twain per la comicità, è vagamente ispirata alle sue stesse esperienze come autrice del Saturday Night Live, e narra le avventure di Liz Lemon, responsabile di un programma di intrattenimento sulla NBC, popolato da attori da strapazzo ma con manie di grandezza, co-autori svalvolati, stagisti esaltati, amici sfortunati e da un capo geniale, cinico, desideroso di essere il mentore lavorativo e umano di Liz, manipolatore abilissimo, uomo affascinante (Alec Baldwin deve gran parte della sua rinascita proprio a 30 Rock).
Va in onda dal 2006 e ogni anno fa incetta di nomination (e spesso di premi) agli Emmy Awards, pur non avendo riscosso il successo inarrestabile di altre serie persino simili ed essendosi piazzata sempre in posizioni non altissime nelle classifiche di ascolti.
Il che, a guardarla con attenzione (ed è facile, Sky la passa praticamente ad ogni minuto del giorno), è piuttosto comprensibile: nonostante le macchiette che popolano la redazione dello show, dal Tracy Jordan analfabeta a Ken il cristiano integralista buono come il pane, la comicità di 30 Rock è piuttosto sofisticata, con continui rimandi autoreferenziali (e non sempre comprensibili dall'esterno) al contesto americano, diventando a tratti quasi evanescente; l'approfondimento psicologico dei personaggi è piuttosto blando e sempre contenuto in brevi accenni e veloci battute di dialogo, ad eccezione ovviamente di Liz e di Jack Donague; anche le relazioni fra di loro sono piuttosto statiche (e l'assenza di UST* fra Liz e Jack a volte è destabilizzante, tanto siamo stati abituati al perfetto contrario).
Eppure, visto anche che siamo arrivati alla sesta stagione, 30 Rock funziona.
Il personaggio di Liz è semplicemente geniale: una Bridget Jones meno esasperata in cui è facilissimo riconoscersi e immedesimarsi ("Vuoi davvero consigli sentimentali da una che al momento indossa un reggiseno tenuto insieme con lo scotch?"), specchio perfetto dell'inadeguatezza esistenziale che fa da colonna sonora costante all'autostima di gran parte delle donne normali.
Oltretutto, piace anche agli uomini, perlomeno a quelli in grado di apprezzarne intelligenza e umorismo un attimo prima che si scateni un invincibile istinto di protezione.
Probabilmente grazie al fatto di essere anche autobiografica, Tina Fey ha saputo regalare a Liz uno spessore di veridicità e realismo di cui non sempre le personagge tv sono equipaggiate.
Non a caso una delle battute più belle dell'intera serie è rivolta da Jenna a Liz durante un pranzo in cui Jack ha chiesto loro di fare amicizia con la sua nuova fidanzata:
"Guardateci! Sembriamo proprio le ragazze di Sex and the City: io sono Carrie, tu sei Amanda e Liz la spettatrice che ci guarda da casa".
*UST = Unresolved Sexual Tension, tipica nel 95% delle interazioni uomo-donna delle serie tv.
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