16 aprile 2011

Ogni maledetto carciofo


Leggo in giro su internet che i carciofi fanno benissimo alla salute. Sarà certamente vero, ma principalmente, quando sono al giusto punto di maturazione, sono buoni: ottima e sufficiente ragione per cucinarli con attenzione e mangiarli con gusto. C'è il problema di pulirli, e lì c'è bisogno di pazienza, di un coltello affilato e di un paio di guanti di lattice, che aiutano anche a tirarsela un po', io li metto e vado in giro per casa urlando "cosa abbiamo?".
Diciamo che a questo punto i carciofi li abbiamo puliti, togliendo tutte le foglie esterne, quelle che fanno clack quando le spezzi, ed abbiamo scorciato anche il gambo: possiamo quindi provare a cuocerli alla romana. Due carciofi a testa sono un egregio secondo piatto, uno a testa va bene, secondo me, come contorno, quindi sappiatevi regolare.
In un padellino con i bordi abbastanza alti facciamo andare un cucchiaio d'olio per ogni carciofo con qualche spicchio d'aglio: quando l'aglio diventa scuro mettiamo i carciofi con il gambo all'insù, acqua fino a coprirli a metà, e mezzo dado per brodo vegetale. Qualcuno aggiunge anche uno spruzzo di vino bianco, ma io per quello che vale la mia opinione sono contrario.
Se ne avete alla mano, la regola pretenderebbe la mentuccia romana, ma ho appurato che va benissimo anche il prezzemolo, con la precisazione che se si tratta di quello fresco è meglio metterlo alla fine della cottura (gli utlimi cinque minuti), mentre quello secco va aggiunto subito per dargli il tempo di rinvenire.
Per la cottura, a fuoco non troppo vivace, ci vorrà una mezz'oretta per quattro carciofi, il tempo di far asciugare l'acqua: il trucco della nonna è provare se entra uno stuzzicadenti.
Vanno in tavola ben caldi, e con l'intingolo di cottura potete anche fare la scarpetta.

Una sola notizia da non perdere - La rassegna stampa di Eva del 16 aprile


Mentre Eva leggeva la stampa online di oggi, alla ricerca delle notizie da non perdere per nessuna ragione, le è saltato all'occhio un articolino piccolo piccolo che parla di piccole morti in carcere.
Stavolta, la vittima della disperazione è una donna - anzi, una ragazza di 24 anni: la stessa età della ragazza del figlio dell'Eva che scrive questa rassegna e che proprio ieri si è laureata e ed è stata fotografata raggiante e soddisfatta con la sua corona d'alloro in testa e amici e familiari che la circondavano.
Cercando di saperne un po' di più (ma si trova ben poco, perchè queste sono notizie che non fanno notizia e stanno su solo il tempo di trovare qualcosa di più interessante da pubblicare), si scopre che il giornale locale, forse per non turbare la comunità (si può dire ipocrisia? sì, si può dire), parla di "morte nell'ospedale dove la ragazza era in cura". Si trova invece un approfondimento su Notizie Radicali , in cui si scopre che la ragazza si è impiccata durante l'ora di cena, forse per la disperazione causata dal trasferimento di una compagna di detenzione in altro carcere.

Eva, per sua natura, non è moralista né ama fare discorsi da bar: ma le viene dal cuore sottolineare il contrasto tra chi in carcere ci va e ci muore e chi in carcere dovrebbe andarci e si fa leggi tutte per sé per evitarlo.

Adriana Ambrosini. Si chiamava Adriana Ambrosini. Riusciamo a non dimenticare questo nome, per non dimenticare lei?