13 agosto 2011

I migliori spaghetti della nostra vita



Bene, dopo essermi confrontato con Edoardo, ora affronto Aldo Fabrizi, per parlare di matriciana (o amatriciana).

Parlo di quella "rossa" con il pomodoro, e mi estraneo anche dal dibattito se quella bianca, senza pomodoro e detta anche "gricia" sia magari la versione originale; comunque sia è un piatto veloce ma è anche la conferma, se serve, che la cucina non è una scienza esatta. Io l'ho fatta cento volte (più o meno) e ognuna era diversa dall'altra, e non credo dipendesse dalla diversa marca dell'olio, dei pelati e degli spaghetti. Inoltre colgo qui l'occasione per confessare che la migliore amatriciana che abbia mai mangiato mi è stata servita in un locale senza pretese dei Castelli Romani, e lì mi sono accorto che sbagliavo parecchio (e Aldo Fabrizi poi ha confermato la mia impressione).

Comiciamo: per quattro persone cento grammi di battuto di guanciale e pancetta affumicata, olio, una cipolla, un barattolo di pelati, un cucchiaio di passata di pomodoro.

Nell'olio fate appassire una cipolla affettata non troppo sottile e poi fate rapidamente tostare pancetta e guanciale; quando l'olio è nuovamente ben caldo aggiungete i pelati con il liquido di governo, senza aggiungere acqua e la passata di pomodoro.

Quando il liquido dei pelati è asciugato, è il momento di condire la pasta, magari padellandola; pecorino romano fresco macinato e non parmigiano su questa pasta, per favore.



E per finire, ecco come promesso l'omaggio ad Aldo Fabrizi:


“La matriciana mia” di Aldo Fabrizi



Soffriggete in padella staggionata,

cipolla, ojo, zenzero infocato,

mezz’etto de guanciale affumicato

e mezzo de pancetta arotolata.

Ar punto che ’sta robba è rosolata,

schizzatela d’aceto profumato

e a fiamma viva, quanno è svaporato,

mettete la conserva concentrata.

Appresso er dado che jè dà sapore,

li pommidori freschi San Marzano,

co’ un ciuffo de basilico pe’ odore.

E ammalappena er sugo fa l’occhietti,

assieme a pecorino e parmigiano,

conditece de prescia li spaghetti.

E dopo il 12... arriva il 13 agosto 1961. Quando dicono "pettegolezzi" c'è da temere



Walter Ulbricht il 15 giugno del '61, durante una conferenza stampa internazionale, smentisce seccamente le voci sul progetto della costruzione di un muro a Berlino per dividere le due Germanie: "Ho sentito anch'io questi pettegolezzi, sono falsi. Nessuno ha intenzione di farlo". La storia oggi ci dice che era una menzogna. 

La mattina del 13 agosto 1961 i berlinesi scoprono infatti che nel cuore della loro città sta nascendo una divisione fatta di filo spinato, blocchi di cemento anti-carroarmati e barricate. I collegamenti fra la zona est e quella ovest sono bloccati e i cittadini della prima non possono più entrare nella seconda. Sono le "prime pietre" del famigerato Muro, che la propaganda chiama "il muro di protezione contro i fascisti". Gli Alleati reagiscono con moderazione, troppa moderazione, e la "protezione" cresce in fretta, raggiungendo i 166 chilometri di lunghezza e i 4 metri di altezza. Centosessantasei chilometri che tagliano 192 strade di Berlino, sancendo la definitiva separazione fra i due blocchi. Passare il Muro diventa impresa assai rischiosa, tanto che un centinaio di berlinesi dell'est moriranno nel tentativo di scavalcarlo, uccisi dai Vopos di guardia: l'ultima vittima è Chris Gueffroy, il 6 febbraio del 1989.
Chris Gueffroy non poteva saperlo: gli sarebbe bastato pazientare ancora pochi mesi e lui sarebbe ancora vivo. E libero. Il 9 novembre di quell'anno, Günther Schabowski, leader della Sed (il partito comunista) di Berlino est, annuncia infatti la resa: con parole ambigue dice che da quel momento il Muro viene aperto per permettere "viaggi personali all'estero". Sono le sette di sera, poco dopo scoppia una festa spontanea alla porta di Brandeburgo e nella Kurfürstendamm di Berlino ovest. Il Muro viene fatto a pezzi. E comincia un'altra storia, che porterà alla caduta dell'Urss e dei suoi regimi satellite nell'Europa orientale.