5 maggio 2011

I giovani sono il nostro futuro.

Questo racconto è stato scritto da uno studente delle superiori per un concorso scolastico. Siamo rimasti colpiti dalla lucidità con cui un ragazzo giovane è stato in grado di guardare all'altro sesso e dal coraggio (ché a quell'età tale è) avuto nello scrivere in prima persona. Lo pubblicheremo a puntate, non solo perché è qualitativamente di buon livello, ma soprattutto per ricordare a tutti noi che c'è speranza persino da queste parti. 

FERITE DEL SILENZIO - Parte Prima

  Nel bacino del Sobat, in Sudan, tramonta il sole. In un villaggio degli Shilluk si sentono ancora grida e passi di corsa.
Zakiya gioca con le altre bambine. La madre la guarda correre tra le capanne schiacciate dall’enorme cielo insanguinato.
  Mene sa che sua figlia è cresciuta. E’ tempo che si prepari a diventare una al-‘arusa.
  Efia torna verso la sua capanna. Zakiya è rimasta sola e non può più giocare. Mene è seduta nella polvere; ha un’espressione seria.
- Zakyia, vieni. Ascoltami.
- ...
- Sei grande oramai. Sei alta quanto tuo fratello Akin.
- Ma Akin è più piccolo di me.
- Lui però è un uomo. Ed è ora che tu diventi una donna.
- ...
- Ti ricordi della vecchia Ige? Sarà qui con la luna piena.
- Ci sarà la cerimonia? Come per Kinah?
- Sì. Anche tua sorella ha fatto la cerimonia. Anche io l’ho fatta. Tutte noi la dobbiamo fare.
- Anche io la devo fare?
- Farai la cerimonia dopo la luna piena.
- Ma io non la voglio fare. Kinah è stata tanto male dopo.
- La devi fare. Nessun uomo ti vorrà se non la farai.
- Ma io ho paura.
- Devi essere forte. Solo così ti guadagnerai il rispetto del villaggio, e i doni più belli. E ora va’ a dormire.
- Va bene.
  
Dà da mangiare al gatto, poi mangia lei. Sparecchia e lava i piatti. Fuori tira vento; sente di aver accumulato nelle ossa tutto il freddo della giornata. Che piacere l’acqua calda sulle mani.
  Anne-Sophie è una donna sola. Sola da poco in realtà. E’ appena uscita da una storia lunga e complicata. L’ha voluta troncare lei. Damien era diventato possessivo, soffocante. Lui però non riesce a farsene una ragione; le manda mazzi di fiori a lavoro e a casa fasci di lettere. All’inizio erano queste piccole cose che le erano piaciute in lui.
  Si erano incontrati in un ristorante. A casa mancava la luce e il gas quella sera e Anne-Sophie era troppo stanca per chiamare gli amici, ma doveva mangiare fuori per forza. Era scesa e si era seduta nel primo ristorante che aveva incontrato.
  Non aveva mai immaginato che cenare da soli al ristorante potesse essere così deprimente. Le veniva naturale fissare davanti a sé; al tavolo di fronte c’era una coppietta insopportabilmente languida. Tentava di fissare il piatto, ma lo sguardo tornava sulla coppietta. Intrecciavano le mani, le dita si rincorrevano tra i tovaglioli. In uno slancio particolarmente romantico avevano tentato di darsi un bacio sorvolando secondi e contorni, ma la cravatta di lui si era tuffata nella salsa della bouillabaisse. Lei aveva tentato subito di pulirla con il tovagliolo.
Anne-Sophie non sapeva come trattenersi, non poteva ridere, erano vicinissimi. Qualcuno dietro di lei non si era fatto gli stessi scrupoli. Da un tavolo poco distante era esplosa una risata fragorosa. La coppietta aveva puntato quattro occhi pieni di odio sul ridanciano avventore ed era tornata a dedicarsi alla cravatta.

  Anne-Sophie si era girata per vedere chi fosse il coraggioso. Un uomo sui trent’anni, capelli neri, spalle larghe. Cenava da solo. Lui aveva notato il suo sguardo e le aveva sorriso, lei aveva ricambiato. La serata era andata avanti a sguardi furtivi, da entrambe le parti, finché lui non aveva preso l’iniziativa. Si era alzato ed era venuto a sedersi al tavolo di Anne-Sophie.
- Buonasera signorina. Ho visto che la rosa nel suo vaso era troppo sola; così ho portato la mia per tenerle compagnia. Le dispiace?
- No, prego. Sono sicura che alla mia rosa farà molto piacere
  Era stata una serata piacevolissima. Damien l’aveva accompagnata a casa; l’aveva conquistata. Avevano fatto coppia fissa per quattro anni.
  
E’ una mattina terribilmente calda nell’Iran centrale, il sole arroventa le pianure pietrose. Le acque del fiume Zindah esalano nuvole di vapore. L’altopiano di Esfahan è come un enorme forno.
  Amir è a lavoro. Laleh cucina da ore. Si concede un attimo di riposo e sbircia dalle fessure delle finestre oscurate. C’è un capannello di uomini sull’altro lato della strada.
  Riconosce Kurush, il figlio di Assim. Kaveh, il fornaio. E quello chi è? E’ Feroz, il figlio di Kasbar! E’ cresciuto, è un uomo fatto. Ha le spalle forti di suo padre. I capelli, scuri, folti, sono della madre.
  Ma che fa? Feroz guarda fisso verso la finestra di Laleh. L’ha vista? Laleh è spaventata, ma non riesce a distogliere lo sguardo. Quegli occhi neri, profondi, ipnotici. Gli altri uomini non sembrano notare nulla. Laleh si stacca dalla finestra con una spinta. Ha il respiro affannato. Le manca l’aria in quella casa. Sempre chiusa, sempre buia.
  Torna in cucina, deve finire di preparare il pranzo. Non riesce a concentrarsi; fa fatica a rimanere calma. Ha voglia di buttare tutto per terra, di uscire, di correre, correre lontano. Non può! Tra poco tornerà Amir, deve fare il suo dovere. Si concentra sulle pentole, nel calore soffocante della cucina, e tenta di non pensare più a quanto è accaduto.




...continua



Rassegna silenziosa. Notizie da non perdere del 5 maggio

Mentre anche qui in redazione assorbiamo la notizia della morte di Osama bin Laden, via Solferino cerca - giustamente - di attirare l'attenzione sulle persone coinvolte ma di cui nessuno parla. A Maria va il nostro pensiero e la speranza che il suo incubo finisca il prima possibile.

Un altro abbraccio silenzioso vorremmo mandarlo a Paolo Nespoli, l'astronauta che tweetta e ci mostra lo Spazio da lassù.