Una Eva di oggi : Sonia
L'Eva che scrive incontrò la politica a sedici anni, in terza superiore, grazie a una straordinaria prof. di Filosofia e a un paio di amiche inseparabili con le quali condivise i primi approcci verso il tema, le prime manifestazioni, le prime partecipazioni attive.Erano gli inizi degli anni '90, muri e certezze si erano già sgretolati, ma la scelta che ti si proponeva era ancora manichea e semplice: fascio o comunista (zecca, come si diceva da queste parti)? A quell'età, poi, le sfumature sono solo un concetto astratto, e noi non potemmo che rispondere "Rosse per sempre!".A quell'età, però, anche l'assenza di sonno è un concetto astratto e, per quanto ci sentissimo partecipi, responsabili, coinvolte nel mondo che ci circondava e che dovevamo assolutamente contribuire a migliorare, anche solo con un verso, rinunciare a una mattinata infossate sotto il piumone era ancora un sacrificio che non ci sentivamo preparate a compiere. Nemmeno il 25 aprile del 1994.
Mia madre e quella di A. avevano tuttavia una diversa opinione. Incontratesi tramite noi figlie, si erano scoperte piuttosto simili (ex sessantottine entrambe, ancora combattive e inarrestabili entrambe), avevano fatto amicizia e avevano deciso che il 25 aprile era una giornata di celebrazione e commemorazione, non di ciondolamenti casalinghi. Di conseguenza, nel 1994 tirarono giù dal letto, alle sette di mattina, me, A., sua sorella e suo padre e ci portarono tutti a visitare il museo storico della Liberazione a via Tasso. Luogo di prigionia per partigiani, resistenti e antifascisti, A. e io ci trovammo a dover correre fuori dalle minuscole celle senza finestre in preda a claustrofobia e ansia, con le lacrime agli occhi di fronte a un pane dove qualcuno aveva inciso la parola "mamma", inferocite davanti alla camicia insaguinata, a guardare orgogliose il sindaco Rutelli (erano altri tempi, ma proprio ALTRI tempi). Soprattutto ci eravamo ritrovate abbastanza insonnolite e irritabili di fronte al portone che avrebbe aperto di lì a un'ora ("Andiamo presto, sennò rischiamo di non entrare"), finché una signora non si avvicinò a chiedere qualche informazione. Era avanti con gli anni, indossava quei vestiti un po' anonimi che però in qualche modo fanno casa, aveva i capelli bianchi con la messa in piega freschissima.Rimase accanto al nostro gruppetto e sembrò piuttosto contenta di vedere delle famiglie che portavano i figli adolescenti nei luoghi storici. Poi ci raccontò la sua storia. Lei abitava proprio nel palazzo di fronte al carcere di Via Tasso e sentiva continuamente le grida degli uomini torturati lì dentro. Per questo a un certo punto si unì alla Resistenza. Ed era a via Rasella, quella mattina.