15 luglio 2011

Se ti ammali non vale! Licenziata/o



Affrontare la malattia significa anche superare disinformazione, burocrazia, leggi complicate: lo sanno bene i lavoratori che si ammalano seriamente.

Un'operaia dipendente da 16 anni dalla ditta Nuova Termostampi di Lallio (BG) è in stato vegetativo, e la licenziano dal lavoro per le troppo assenze. Non solo: «Crea intralcio all'attività produttiva». Ha dell'incredibile la vicenda che vede al centro una donna in stato vegetativo dal gennaio dello scorso anno, una condizione nella quale quattro mesi dopo, riuscì comunque a dare alla luce una bimba, la quarta dei suoi figli. L'articolo è pubblicato oggi dal Corriere. La signora è tuttora ricoverata all'istituto don Orione di Bergamo, e ovviamente non ha potuto riprendere il suo posto di lavoro alla ditta Nuova Termostampi di Lallio (Bg), di cui è dipendente da 16 anni. E che ora, denuncia la Cgil di Bergamo, le ha inviato una lettera per licenziarla perché, spiegano, la signora «ha effettuato 368 gg di malattia», superando «il periodo di conservazione del posto di lavoro previsto dall'art. 39, comma 7, Parte 2° del vigente C.C.N.L (e pari a 365 giorni)». Non solo: «la discontinuità della sua prestazione lavorativa crea evidenti intralci all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al suo regolare funzionamento, incide in modo sensibile sull'equilibrio dei rispettivi obblighi contrattuali».Sorte analoga è quella dei genitori dei bambini Un genitore ogni quindici di bambini malati di tumore perde il lavoro a causa delle prolungate assenze fatte per assistere il figlio. 


Un dato sconcertante che emerge dall’indagine su 52 famiglie con un piccolo paziente oncologico realizzata dall’associazione Peter Pan in occasione della VII Giornata Mondiale contro il cancro infantile che si celebra il 15 febbraio. Il dramma, così, non è solo affettivo, psicologico, familiare (spesso i genitori devono separarsi: uno in ospedale, l’altro a casa fra lavoro, altri figli e «ordinaria amministrazione»), ma anche economico. E la famiglia colpita si ritrova ad affrontare spese di viaggio e di trasferta, o persino il licenziamento.
Però.... però:Il nostro ordinamento è particolarmente attento alla salute ed ai problemi che ne derivano. Infatti, l'art. 32 della Costituzione definisce la salute come diritto fondamentale dell'individuo e come interesse della collettività.
Con riguardo ai rapporti di lavoro, l'art. 2110 del codice civile dispone che, in caso di malattia (oltre che di infortunio, gravidanza o puerperio), il rapporto di lavoro viene sospeso e che il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore malato se non sia scaduto il termine di conservazione del posto (cosiddetto termine di comporto) appositamente previsto dai contratti collettivi. In altre parole, il lavoratore non può essere licenziato per il semplice fatto di essere malatttia
Si capisce dunque che diventa prioritario verificare la durata del termine di comporto disciplinato dal contratto collettivo.
Di solito, il contratto collettivo distingue due ipotesi:
· il comporto secco, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di un'unica malattia di lunga durata
· il comporto per sommatoria, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di più malattie.

Tuttavia, anche se quella appena indicata appare una normativa di garanzia a favore del lavoratore, si capisce che, scaduto il termine di comporto, il lavoratore può essere licenziato anche se effettivamente e seriamente malato. Per ovviare a questo inconveniente, spesso i contratti collettivi di lavoro introducono un altro istituto, quello della aspettativa non retribuita: per un periodo massimo indicato dal contratto, il rapporto di lavoro può proseguire, sia pur in assenza della retribuzione, anche oltre il termine di comporto. Si tratta di un istituto molto importante, tanto che alcune sentenze hanno dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per superamento del termine di comporto, se il datore di lavoro non ha preventivamente comunicato al lavoratore la facoltà di fruire della citata aspettativa. Pertanto, il lavoratore che sia seriamente malato e che, approssimandosi la scadenza del periodo di comporto, non può tornare al lavoro, può fruire dell'istituto di cui si è detto. Il datore di lavoro non può rifiutare l'aspettativa, a meno che dimostri la sussistenza di seri motivi impeditivi alla concessione della stessa. La giurisprudenza ha definito limiti alla legittimità del licenziamento conseguente a periodi di malattia, soprattutto quando questi si sono dimostrati riconducibili alla situazione di lavoro.

Ultim'ora: Il ministero del Lavoro ha avviato un'ispezione sul caso della donna licenziata a Bergamo mentre è in stato vegetativo perché, secondo l'azienda, "la discontinuità della sua prestazione lavorativa crea evidenti intralci all'attivita produttiva". Lo ha annunciato il sottosegretario con delega alle Politiche sociali, Nello Musumeci.
"Abbiamo già disposto, tramite la nostra direzione generale per l'attività ispettiva - ha affermato il sottosegretario - una verifica dei fatti denunciati dalla stampa. Al di là dei rispettivi obblighi contrattuali, la condotta dell'azienda appare improntata a un rigido formalismo e a un rigore assolutamente inopportuni e inadeguati alla tragedia che ha colpito la sfortunata dipendente". "La dignità della persona viene prima di ogni profitto d'impresa - ha concluso Musumeci - e se fossi l'amministratore dell'azienda andrei a chiedere scusa ai familiari".           

Questo ci piace!!! Mai abbassare la guardia.

So che non so quel che non so; invidio coloro che sapranno di più, 
ma so che anch'essi come me, avranno da misurare, pesare, dedurre e diffidare delle deduzioni ottenute,
stabilire nell'errore qual è la parte del vero e tener conto nel vero 
dell'eterna presenza di falso.
(M. Yourcenar, L'Opera al nero)

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