23 febbraio 2011

Di guerra in guerra


Quel che sta succedendo nel mondo islamico, e in quei paesi dove il mondo femminino rappresenta un argomento controverso sotto tutti i punti di vista, non poteva non riportarmi alla mente il lavoro di Shirin Neshat.
Le sue opere trattano la figura femminile nel mondo islamico, ma non seguono la solita scia della denuncia, sulle limitazioni che le donne subiscono. Il suo scopo è quello di fotografare la donna che cerca di mantenere la sua identità in un mondo che nel suo mutare continuo la vuole scissa in due parti: tradizione da una parte e avanzamento/progresso dall'altro.

Qui a fianco una delle sue opere.

Quella che segue è parte dell'intervista fatta alla Neshat da Francesca Caraffini nel '98, apparsa sulla rivista Virus, Anno Numero 14 Nov '98

D: Cosa intendi per emozioni?
R: La mia idea di emozione, credo si intuisca in Unveiled o Women of Allah. In questa serie di opere non ho cercato di entrare in merito all'aspetto politico del velo, ma piuttosto alla sua poetica, che era il campo che veramente mi interessava sin dall'inizio, l'idea di provare a guardare oltre la superficie. Per esempio, come fa una donna a relazionarsi con i mutamenti del mondo esterno quando c'è un velo tra lei e il mondo? Come il velo separa il privato dal pubblico, l'interno dall'esterno? Come un semplice pezzo di stoffa è realmente capace di dettare e imporre una tale limitazione su una persona? Io ero molto interessata all'idea di visibile e invisibile, e anche come, alla fine, una donna può esprimere se stessa nonostante una tale limitazione.


D: Spesso in opere come Seeking Martyrdrom o Rebellious Silence, la presenza delle armi è stata rapportata esclusivamente ad una situazione politica che esiste al momento nei paesi orientali, ma io considero anche il fatto che tu vivi a New York, un posto dove la violenza si vive ugualmente...
R: Si, è probabile che sia stata data una lettura di questo tipo, ma non era l'aspetto legato alla violenza o alla militarità quello che mi interessava indagare, era quello che più si riferisce all'idea del corpo femminile nel suo essere militante, che prende posizione, inteso cioè come corpo combattente.



D: Le tue immagini sono molto raffinate, c'è un senso diffuso della bellezza. Che cos'è la bellezza per te?
R: L'idea della bellezza è molto importante nella tradizione islamica. Tutta la società islamica ruota intorno all'idea della bellezza, lo stesso contatto tra l'uomo e il divino è stabilito attraverso un senso di bellezza, e la stessa ossessione di raggiungerla è qualcosa di molto intenso. Nel mio lavoro, l'immagine delle donne, della violenza, del chador e l'intero complesso della bellezza delle immagini, viene trasformato in una dimensione di confusione, e lo stesso discorso vale per l'uso di poemi di autori che hanno opposti credenze e opinioni...Vedi, non è mai stata mia intenzione prendere un direzione univoca, o comunque prendere posizione. Io non penso che sia interessante per un artista diventare giudice di cosa è bene e cosa è male o decidere quali culture sono nel giusto e quali no... A me non interessa stabilire chi ha ragione, io sono una straniera, sono un'osservatore forestiero, e il lavoro che faccio è una combinazione di che cosa esperisco nella mia propria storia personale, che indubbiamente è molto legata a tutto questo.


La Neshat, con le sue opere, a mio avviso, non si pone ne a favore ne contro la tradizione del Velo, ma suggerisce che l'accettazione del peso di determinate tradizioni non indica una limitazione nella propria espressività ne artistica ne come essere umano.

Descrivere in un post l'opera di un'artista come la Neshat è arduo, perché non fornisce risposte ma dà vita a ulteriori domande. Per ora lei ha trovato la risposta ad alcuni perché con la vittoria del Leone d'argento per la miglior regia alla mostra del cinema di Venezia con il film "Donne senza uomini".

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