4 marzo 2011

Artemisia, pittrice e donna


Artemisia Gentileschi non è un'artista comune, è una donna che nella pittura ha trovato il palcoscenico dove mettere in scena lo spettacolo che è stata la sua vita. Nata a Roma da Orazio Gentileschi e Pudenzia Montone l’8 luglio del 1593, dimostrò da subito un innato talento per la pittura, ben coltivato dal padre, primo dei caravaggisti a Roma. Crebbe in un periodo fertile dell’arte romana, quando Caravaggio lavorava in Santa Maria del Popolo e San Luigi dei Francesi, e il Domenichino e Guido Reni gestivano i cantieri di San Gregorio Magno.



La presenza del Caravaggio che prendeva in prestito gli utensili dal laboratorio paterno influenzò molto lo stile pittorico di Artemisia, ma fu soprattutto il padre a garantirle un continuum nella formazione artistica: in quanto donna, all'epoca le scuola di formazione artistica le erano precluse, pertanto l’unica strada era la bottega paterna.
La condizione femminile nel periodo in cui Artemisia crebbe era limitata alla vita domestica o a quella monacale; qualsiasi attività come il disegno o il ricamo, la musica erano pur sempre inserite in questi due contesti. In pratica alle donne veniva impedito di sviluppare una personalità indipendente o avere un proprio ruolo sociale; nell’eventualità in cui fosse una lavoratrice, doveva rimanerlo nella clandestinità senza aver alcun riconoscimento sociale.

Ma qualcosa accadde nella vita di Artemisia: la violenza carnale subita da Agostino Tassi.

Questa figura è presente nella sua prima opera importante: "Susanna e i vecchioni", datata 1610. Nella lettura del soggetto rappresentato, molti critici ritengono l’opera retro-datata, in quanto il senso di oppressione che emerge dall’opera fa sospettare che Artemisia abbia rappresentato se stessa dopo la violenza e vi abbia raffigurato la sua esistenza di donna e pittrice schiacciata dalle figure emblematiche del padre e di Agostino. L’ossessività paterna emerge dal processo al Tassi, il quale sostenne che Artemisia si era lamentata con lui dell’egemonia paterna in quanto Orazio soleva trattarla come una moglie più che come una figlia. Si giunse al processo non tanto per il fatto in sé, la violenza subita, ma per il rifiuto del Tassi di sposare Artemisia, in quanto già sposato.

Per restituirle una certa onorabilità, il padre le fece sposare Pierantonio Stiattesi, ma ormai per lei tutto era perso: sia la sua innocenza, sia, soprattutto, la sua credibilità come artista. Il suo trasferimento a Firenze e un animo indomabile le permisero di riprendersi in ambito artistico ciò che le era stato tolto a Roma. Divenne la prima donna ad essere ammessa all’Accademia delle Arti del Disegno, intrattenne rapporti con la famiglia dei Medici e strinse amicizia con Galilei, con il quale intrattenne un rapporto epistolare anche dopo l’abbandono di Firenze, testimoniando la capacità di scrivere, cosa di cui si era dichiarata incapace di fare all’epoca del processo.
L’attività artistica di Artemisia dopo il suo ritorno a Roma proseguì fra Napoli e Londra, ma nella sua vicenda a colpire non fu solo il suo talento pittorico, (come le venne riconosciuto dallo storico Roberto Longhi, che scrisse, in merito a “Giuditta che decapita Oleoferne”: « Chi penserebbe infatti che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre diacce degne d'un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato […] Ma - vien voglia di dire - ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo? »), ma soprattutto la sua forza di artista donna, che, contravvenendo a qualsiasi limite sociale, si dedicò con passione alla sua arte, senza farsi limitare in alcun modo dai pregiudizi nutriti nei confronti delle donne pittrici. A rivalsa di tutto questo e delle vicende oscure della sua giovinezza, riusci ad emergere e a tenere testa agli artisti di gran fama del Seicento.
Artemisia rappresenta un modello di donna a cui far riferimento, non solo per la passione dimostrata nel vivere della e per la propria arte, ma anche in ambito personale come figlia, sorella, moglie e madre.

Le è stato dedicato l'asteroide 14831 Gentileschi, scoperto nel 1987 da E. W. Elst e un cratere di 20,5 km sul pianeta Venere.

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