Battage pubblicitario martellante, spot e musica accattivanti, sensazione di novità possente.
Facciamo un tentativo e, senza saperlo, assistiamo alla nascita di una nuova era televisiva. L'età d'oro delle serie tv americane (e inglesi), quella che, a tutt'oggi, non accenna a finire.
In poco tempo, X-Files riempie il vuoto lasciato da Twin Peaks e diviene fenomeno di costume mondiale.
A riguardarla oggi, ti accorgi subito di quanto sia latentemente complottista e paranoide, ma sa ancora stimolare e stuzzicare un intelletto curioso.
E comunque, a quei tempi, non si era mai visto niente di simile. Certi temi, certe immagini, certi effetti speciali, in tv, sui canali principali, erano davvero fantascienza.
Soprattutto, non si era mai visto un personaggio come Dana Scully.
C'erano state le brave ragazze come Joanie "Sottiletta" Cunningham e le giovani perdute, à la Laura Palmer, ma non c'era mai stata una donna scienziato, razionale, con i piedi per terra. L'avevamo vista di sfuggita al cinema, nel Silenzio degli innocenti, ma era durato un attimo e poi più niente.
E in Dana ritrovavamo parecchio di quella Clarice Sterling che sentiva belare gli agnelli. Non solo un taglio di capelli discutibile e i vestiti dismessi (vi ricordate i tailleur della prima stagione?), ma anche l'ambivalenza fra approccio scientifico e attrazione per il lato oscuro della luna, la malvagità di Hannibal l'una e il fascino ciancicato di "Spooky" Mulder l'altra.
Impiegammo pochissimo, a immedesimarci in Dana. Finalmente, una donna diversa dal modello che pensavamo di dover emulare o raggiungere.
A noi piaceva soprattutto perché era capace di rimettere in discussione anche le sue certezze più granitiche, se la realtà la costringeva a farlo. E perché aveva quel modo di fare intenerito e materno verso Mulder (uno che susciterebbe la sindrome del "Io ti salverò" pure in Margherita Hack). E poi perché ogni tanto tirava fuori un'ironia lieve lieve che ti costringeva a guardarla sotto tutt'altra luce.
Dopo di lei, non siamo rimaste orfane a lungo. Gli sceneggiatori-americani-santi-subito hanno dato vita alla sua tuttora unica erede naturale, la crime scene investigator di Las Vegas Sara Sidle.
Lei era figlia degli anni '90, vestiva un po' meglio delle due antenate, mettendoci perfino un tocco di grunge, e aveva lo spazietto fra gli incisivi superiori.
Innamorata di uno stereotipo freudiano e con un bagaglio bello grosso alle spalle, spesso si lasciava trasportare dalla rabbia di cui era intrisa e combinava gran bei casini. Ma di solito era una super-professionista, pungente e talentuosa in un lavoro che alla maggior parte di noi faceva abbastanza schifo (indimenticabile la puntata in cui smucina i resti nello stomaco di un cadavere<--dettaglio disgustoso, da leggere solo su libera scelta).
Aveva un bel rapporto con i colleghi uomini, cameratesco e fraterno, depurato da qualsiasi sottotesto sessuale, ma alle colleghe donne piaceva di meno, e questo noi lo capivamo bene. Ed è stata fantastica quando ha mandato a farsi fottere quel gran bastardo di Hank, che si era dimenticato di dirle di essere fidanzato con un'altra.
Donne scienziato e scientifiche, razionali ma con un retrogusto idealista, dall'armadio a mezza anta e i capelli malriusciti. Erano belle, le serate con loro.
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