24 maggio 2011

Ferite dal silenzio - Fine

...continua da qui, qui e qui.

Il giorno della cerimonia è arrivato. Efia e Zakiya camminano in un corridoio di persone festanti che si congratulano con loro. Indossano abiti da sposa e si tengono per mano.
  Sono terrorizzate. I complimenti e gli auguri, urlati sopra le teste della folla, sembrano minacce. Si guardano attorno. Gli abitanti del villaggio adesso fanno paura; fanno paura perché sono tanti e perché urlano. Sono tutti felici che si compia la cerimonia; tutti tranne loro due.
  Arrivano davanti alla tenda di Ige. Efia trema. Zakiya le stringe più forte la mano. Il fatto che la sua amica abbia paura le infonde uno strano coraggio; almeno una delle due deve essere forte ora, per poter sostenere l’altra.
  Ige si affaccia sollevando un lembo della stoffa rossa. Indica Efia; sarà lei la prima. Efia si avvicina alle tende, vi entra e scompare nella penombra all’interno. Zakiya rimane sola fuori della tenda. Alle sue spalle c’è tutto il villaggio.
  Per un po’ dalla tenda non viene nessun rumore. Poi si sente qualcosa. E’ Efia. Un pianto trattenuto, ma sempre più forte, più straziante. All’improvviso un urlo. Un urlo di morte; lungo e animalesco, senza freni. Zakiya non riesce a trattenere le lacrime; sa che Efia ha disonorato la sua famiglia.
  Non resiste; scappa. Sente il villaggio muoversi dietro di lei; corre tra le tende, verso gli alberi. Poi un braccio appare da dietro una capanna e la getta a terra. E’ Kinah.
- Kinah, ti prego lasciami andare!
- Stupida! Non puoi fuggire dalla cerimonia.
  Le dà uno schiaffo in pieno volto e la guarda negli occhi. Poi le tende una mano e la aiuta ad alzarsi. Afferra la stoffa del vestito e la trascina verso la tenda. Mute lacrime scivolano sulle guance di Kinah; sono quelle lacrime a vincere ogni resistenza di Zakiya.
  Quando torna alla tenda non si sente più nessun rumore. Efia è ancora dentro. Per un bel po’ non succede nulla. Zakiya è ferma e aspetta. Poi la stoffa rossa si solleva. Escono Ige ed Efia. La ragazza è pallidissima eppure cammina. Barcolla accanto a Zakiya; sembra non riconoscerla.
Ige è rimasta sulla soglia; guarda Zakiya intensamente, poi rientra.
La ragazza la segue; entra nella tenda. C’è un caldo soffocante e odore di sangue. La penombra non delinea con precisione le forme degli oggetti. C’è un piccolo braciere che fuma e altri oggetti metallici appoggiati su un pezzo di stoffa, sembrano sporchi. Zakiya si stende su un pagliericcio tutto macchiato su indicazione di Ige. Una donna del villaggio la afferra per le braccia e la tiene ferma. Ora è il momento di essere forti; non deve urlare. Sente che la vecchia sta maneggiando dei ferri; poi le apre gambe. Sente che Ige la tocca; decide di guardare. Ma mentre solleva la testa la vecchia affonda la lama. Il dolore le svuota i polmoni. La donna del villaggio le mette qualcosa tra i denti e lei lo morde con tutte le forze. Ige continua a tagliare per un tempo infinito, il dolore è insopportabile. Poi tutto si ferma. E la vecchia sembra allontanarsi all’interno della tenda. Quando torna, Zakiya sente un calore tra le gambe, non sono le mani di Ige. Il ferro arroventato affonda nella ferita. Qualunque cosa Zakiya avesse tra i denti si rompe, ferendole la lingua. Poi il buio la sommerge.
  Quando rinviene la stanno ricucendo. E’ notte. Il dolore è ancora fortissimo, ma niente in confronto a quello che ha provato prima. La cerimonia è finita. Ora è una al’arusa.
  La cucitura si ripeterà per ogni nuovo sposo, dopo ogni parto, per conservare la purezza della donna. Zakiya dovrà sopportare ancora molte cuciture.
Per Efia questa sarà l’ultima. E’ debole, e quando ci proveranno una seconda volta, dopo il suo primo parto, non ce la farà.

   Anne-Sophie sta finendo di sistemare i maglioni nella valigia. Fa freddo a Champeaux di questa stagione. Finalmente si è decisa a partire, anche se negli ultimi giorni Damien non si è fatto sentire.
  Bussano alla porta. Anne-Sophie esce dalla camera da letto e va ad aprire. E’ ancora a metà del corridoio quando sente che da fuori tentano di infilare una chiave nella serratura, ma la chiave non entra. Qualcuno che ha la chiave sbagliata e pensa di avere quella giusta... Damien!
  Si lascia sfuggire un piccolo grido. Se ne pente subito e si copre la bocca con le mani. Troppo tardi.
- Cherie sei tu? Apri, ti devo parlare. Dai, apri.
- Damien, vai via! Lasciami in pace, è finita.
- Niente è finito, apri!
- No, è inutile. Sto andando via. Vado fuori città.
- Tu non vai da nessuna parte.
  Damien sferra un calcio alla porta. Briciole d’intonaco si staccano dal muro accanto agli stipiti e cadono sul pavimento. Un calcio dopo l’altro, sul pavimento c’è sempre più intonaco. Anne-Sophie non sa che fare. Afferra una sedia per bloccare la porta. Non reggerebbe; la lascia cadere e corre a prendere il telefono. Compone il numero della polizia ma in quel momento la porta si apre di schianto. Damien è dentro; le viene incontro con decisione e le dà uno schiaffo. Anne-Sophie cade sul divano e il telefono si rompe toccando terra.
- Perché non mi hai richiamato? Perché non hai mai risposto?
- Perché è finita. Non posso più stare con te.
- Sì che puoi! Sì che puoi!
- Non voglio! Lasciami!
  Damien è sopra di lei, tenta di spogliarla. Le straccia la maglietta, ansima come un animale, non sembra più umano. Anne-Sophie è nel panico, con tutta la forza che l’adrenalina le concede sferra una ginocchiata nel fianco di Damien che urla di dolore ma le rimane attaccato. Le lascia i vestiti e le stringe le mani attorno al collo, sempre più forte. Anne-Sophie tenta di urlare; dalla bocca le esce solo un rantolo. La testa le gira vorticosamente; perde il controllo.
  Passi per le scale. Qualcuno sta salendo. Anne-Sophie non lo sente, ma Damien sì. La morsa delle sue mani si allenta un poco. Solleva la testa; i passi si avvicinano. Damien la guarda come… come prigioniero di un incubo. Graffiata, insanguinata, distesa tra le sue ginocchia. Si alza e corre fuori della porta, giù per le scale. Non si vedranno mai più.


In Iran la Shari’a è applicata con la massima severità. La legge coranica prevede la pena di morte solo in tre casi: la bestemmia contro Allah, l’omicidio di un islamico e l’adulterio.
  Laleh cammina per un sentiero fuori della città; due uomini la tengono per la braccia. Arrivano nel punto prestabilito, dove si è già provveduto a scavare una piccola fossa. Ci sono già più di cento persone e altre ancora stanno arrivando dal paese.
  La avvolgono in un grande sudario bianco per impedirle i movimenti. La calano nella fossa e vi riversano la terra polverosa finché Laleh non ne è ricoperta fino al petto. Battono la terra per renderla più dura. La folla è molto rumorosa. Gridano, la insultano.
  Amir non c’è. Questo le dispiace più di quanto pensasse. I soldati si ritirano e la folla la accerchia. C’è chi ha già le tasche piene di sassi, c’è chi li sta ancora raccogliendo, scegliendo quelli della misura prescritta dalla legge.
  La prima pietra la colpisce sulla nuca. La folla urla, eccitata. Laleh affonda le unghie nella carne delle mani. Altre pietre la colpiscono in viso e sul petto. Il sudario di tinge di sangue. Stordita guarda la folla, un volto tra gli altri la attira. E’ Feroz, la guarda. Lei lo fissa con un occhio solo; dall’altro non ci vede più…non sa il perché. Feroz invece lo sa il perché, anche se preferirebbe non saperlo. L’occhio non è più nell’orbita; è caduto tra i sassi lasciando una grotta di sangue nel bel viso di Laleh.
  Laleh si aggrappa al volto di Feroz con tutte le sue forze, ma lo perde nella confusione. Anche l’altro occhio si chiude. Il dolore intermittente delle pietre si trasforma in un fischio continuo che trafigge il buio nella testa. Alla fine le pietre si fermano. Ma, sotto il piccolo mucchio che si è formato, Laleh non c’è più.



L’infibulazione viene praticata in 40 paesi, inclusi Italia e Stati Uniti, e riguarda 120 milioni di donne in tutto il mondo. Ogni anno 2 milioni di ragazze vengono infibulate. Le mutilazioni sessuali sono comuni a numerose aree del pianeta, ma resta l'Africa ad avere il triste primato.
Lo stalking, diffusosi negli ultimi anni, è la continua invasione della sfera privata di una persona da parte di un ex-partner o di uno spasimante. E’ una violenza psicologica che spesso degenera in violenza fisica. Un censimento statunitense afferma che una donna su dodici ha subito lo stalking almeno una volta, ma che nel 96% dei casi non lo ha denunciato. Più di un milione di donne sono vittima di stalking ogni anno.
  La lapidazione, lungi dall’essere un’usanza del passato, in molti paesi è una pena nuova, introdotta dai governi fondamentalisti. In altri paesi i governi, poco interessati a proteggere i diritti dei cittadini, permettono che ‘tribunali tradizionali’ amministrino la giustizia condannando a morte per lapidazione o con altre pene. La sopravvivenza di pene tradizionali e il recupero che ne fanno i fondamentalisti fanno sì che il numero complessivo delle lapidazioni e delle zone del mondo in cui questa pena è praticata sia in aumento. In Iran, dalla rivoluzione islamica di Khomeini, si ha notizia di almeno una sessantina di lapidazioni. Nella maggior parte dei casi le vittime erano donne. Tali notizie, raccolte da agenzie stampa e organizzazioni femministe, riguardano prevalentemente episodi accaduti in grandi città. Rimane difficile avere notizie dei casi di lapidazione in zone più remote. Tali cifre, quindi, vanno prese come un flebile indizio del reale numero delle esecuzioni.

FINE


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