13 gennaio 2012

The help


Una serie di sempre più inquietanti e photoscioppatissime locandine in Technicolor, dove le attrici hanno una trentina di anni di meno e piedi dislocati in curiose posizioni, stanno precedendo l'uscita italiana di The Help, terza regia di Tate Taylor, (non) noto per piccole parti in diversi film e serie tv.

Cast significativo e puzza di Oscar fin dalla prima inquadratura, il film è tratto dall'omonimo romanzo di Kathryn Stockett e narra, in chiave leggero-impegnata, di come nel profondo Sud dell'America anni '60 una giovane donna bianca abbia chiesto alle domestiche di colore di raccontare il loro punto di vista, raccogliendo le loro testimonianze in un libro in cui non basta cambiare nomi e ambientazioni perché il microcosmo di Jackson non riconosca protagonisti e fatti.
Graziosissima Emma Stone, che continua a promettere bene, stanca e dolorante Viola Davis (do you remember? La donna che comparve ne Il Dubbio insieme a Meryl Streep per meno di 15 minuti e ottenne una candidatura all'Oscar), giustamente irritante (brava attrice o dotata naturalmente?) Bryce Dallas Howard, ottimi tutti i comprimari, alcuni anche di rango, come Sissy Spacek.
Le due ore e spicci del film filano via che è una bellezza; come sempre è straniante vedere il modo in cui venivano trattate delle normalissime persone appena 50 anni fa; si fa il tifo per i buoni; ci si lascia serenamente coinvolgere dai momenti-commozione; se visto in lingua originale ci si gustano anche parecchio gli incomprensibili diversi accenti.
Diciamo che come voto finale un dignitoso sette e mezzo stiracchiato fino a otto lo si elargisce senza difficoltà. E ci azzardiamo persino a prevedere una candidatura per Viola Davis, ma anche forse per Octavia Spencer.

A fine proiezione, però, non puoi continuare a ignorare il rumore di fondo che ti ha accompagnato tutto il tempo.
Ti tornano in mente i primi anni da cinefilo militante, la scoperta della rivista di riferimento, i cui giudizi cinematografici contavano più dei tuoi perché i redattori ne sapevano sicuramente più di te e come potevi tu sindacare quelle recensioni?

Ti torna in mente un film che vedesti allora, e ti piacque molto, ma non l'hai mai ammesso apertamente, perché la suddetta rivista lo giudicava appena passabile.
Era La Lunga strada verso casa, con - guarda un po' - Sissy Spacek e Whoopi Goldberg: la storia della presa di coscienza di una ricca WASP quando entra a contatto con le proteste dei neri e lo sciopero dei mezzi pubblici grazie alla sua domestica di colore.
Per carità, era un film del 1990, quindi ancora pienamente anni '90, patinato che la metà basta, grondante buoni sentimenti pure nelle dissolvenze in nero, epperò con una scena pre-finale intensa e d'impatto, recitato divinamente da due mostresse sacre.
Mutatis mutandis, non è che fosse così terribilmente diverso da questo qua.

Anzi, in qualche modo, l'eccessiva serietà dell'epoca non alleggeriva la storia come la nostra leggerezza-a-tutti-i-costi, che però fra le testimonianze delle domestiche seleziona storie tutto sommato blande, racconta episodi di cattiveria e vendetta buffi, dipinge i personaggi un po' troppo come figurine bidimensionali.
Intendiamoci: non è un brutto film, anzi. Come dicevamo prima, si fa vedere eccome, fosse solo per le interpretazioni e la fotografia, ma a latere resta il dubbio che sia un'operazione un po' troppo pensata a tavolino, che perde il confronto con opere simili, magari cinematograficamente meno riuscite ma animate da intenzioni più sincere.

Insomma, voto finale: agli Oscar tiferò altrove, ma Emma Stone ci piace parecchio e Viola Davis merita la ola.


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