10 febbraio 2012

Once Upon a Time - Storybrooke stories


C'è di buono, quando arriva la Nevicalisse nella tua città, che una volta assicuratoti che tutti i tuoi cari sono al caldo e al sicuro, puoi chiuderti in casa e farti una sana full immersion di serie tv.


Magari approfondendo la prima timida conoscenza con Dr. Who (di cui parleremo poi) o mettendoti in pari con quelle in cui sei rimasto indietro (perché, per ragioni oscure, devi perdere un sacco di tempo al lavoro ogni giorno, invece di), per esempio Once Upon a Time, che sta per andare in onda anche in Italia (col titolo, stranamente corretto, "C'era una volta").


Trama: la "cacciatrice di cauzioni" Emma Swan, dal passato turbolento e difficile, viene raggiunta una sera da Henry, il figlio che ha dato in adozione appena nato dieci anni prima.
Il ragazzino la convince a riaccompagnarlo a casa, conducendola quindi a Storybrooke, nel Maine, e raccontandole di come tutti gli abitanti della cittadina non siano altro che personaggi delle fiabe rimasti incastrati nel nostro mondo a causa dell'incantensimo della Regina cattiva, sua madre adottiva. Emma stessa è figlia di due di quei personaggi, ed è la chiave con cui potrebbero essere tutti liberati.
Ovviamente incredula, Emma decide comunque di rimanere e, a poco a poco, deve imparare ad accettare che le fiabe vivono fra noi.

Scritto da due degli autori di Lost, Once Upon a Time ha la stessa struttura narrativa frammentaria, in cui i flashback sulle storie dei vari personaggi si intersecano fittamente ricostruendo pian piano il regno di Molto Lontano prima del maleficio della Regina.
Le fiabe sono modernizzate, ma nemmeno troppo, e sono di chiarissima derivazione tedesca, trattandosi quasi esclusivamente di quelle riportate in forma organizzata per la prima volta dai fratelli Grimm: non a caso, uno dei personaggi principali, interpretato da un ritrovato (e bravissimo) Robert Carlyle, è Tremotino.

Gli interpreti hanno tutti indistintamente volti molto interessanti anche se l'unico a distinguersi per bravura è, per l'appunto, il solo Carlyle, mentre gli altri rimangono a un livello intermedio.
La vera pecca sono gli effetti speciali, vagamente pezzenti (cit.), ma l'uso è sufficientemente limitato da non renderli fastidiosi.

Assolutamente intrigante è il procedere della narrazione, che senza ricorrere necessariamente a colpi di scena dell'ultimo secondo, o a cliffhanger vari, lascia sempre nello spettatore la voglia di sapere come va a finire, che poi è quello che ogni storia ben raccontata riesce a fare.

"E poi che succede?"

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