14 febbraio 2012

The Artist - O di quando il bianco e nero era bianco e nero

Da cinefila con un passato militante, conservo con molto affetto il ricordo di certi pomeriggi passati a fare maratone con i classici del muto, da Il Gabinetto del dottor Caligari ad Aurora passando per La Passione di Giovanna d'Arco. Metropolis è stato uno dei miei film cult praticamente fino all'altro ieri.


Adoravo quella bicromia sgranata e granulosa, quegli occhi troppo truccati e troppo grandi, quella gestualità esagerata, la musica ex post invadente e rumorosa, l'iconografia complessiva di un'epoca durata relativamente poco e scomparsa senza praticamente lasciare eredi.

Quindi mi sono avvicinata a The Artist come se si fosse trattato di andare in gita ad Hogwarts: mi aspettavo di ritrovare quel sapore e quell'odore, il "cinema che non c'è più".
E per i primi venti minuti in effetti il meccanismo funziona.
Ritrovare una Hollywood che probabilmente è esistita solo nell'immaginazione degli sceneggiatori nostalgici, quei movimenti a scatti degni di una pessima stop-motion, è piacevole, divertente e ti predispone ad aspettare di sapere dove va a finire la storia.

Il problema è che poi la storia non va a finire da nessuna parte: la trama è - per molti versi - una versione annacquata di Singin' in the Rain (cosa succede alle star del muto quando arriva il sonoro? E no, non c'entra niente con Viale del Tramonto?), la simpatia e le physique du role di Jean Dujardin diventano presto stucchevoli e suonano artefatti, l'interazione con Bérénice Bejo troppo blanda e priva di mordente.

La regia c'è, i camei anche, e la sequenza del sonoro che si fa rumore è estremamente ben riuscita, ma a fine proiezione scatta - o quantomeno è scattato all'Eva che recensisce - il commento che non lascia margine a dubbi sul livello di gradimento: "Sì, vabbe', ma che mi hai raccontato?".

E mentre non sorprende minimamente l'incetta di nomination agli Oscar, lascia più perplessi la quantità di BAFTA vinti domenica scorsa: che gli americani tendano a una pesante giuggiolinite quando qualcuno racconta di come erano belli bravi brillanti buoni e come tutto era Roaring Twenties e come nessuno sia veramente cattivo ci può anche stare; gli inglesi, da questo punto di vista e in questo particolare momento d'oro della loro cinematografia, ci sembrano decisamente più smaliziati.

Comunque, The Artist non è un brutto film.
Probabilmente siamo noi che siamo piuttosto ingenerosi.

Per cui, voto finale: dategli un'occhiata, che forse è solo colpa di questa Eva e del suo cuore di torrone.

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